Steve Jobs è morto, ok. Adesso basta però con la santificazione.
Al di là del fattore umano (Jobs è stato portato via da una brutta bestia che non lascia scampo) quello che è certo è che abbiamo assitito, con pesanti strascichi anche oggi, alla celebrazione di massa di un MARCHIO e del suo presidente. Perchè Jobs visionario lo è stato veramente - anche se non nel senso che è stato dato fino adesso a questa parola -. Anzi, quasi preveggente.
E' riuscito a dare vita ad un vero e proprio culto tecnologico senza precedenti, che fonde in un colpo solo persona, mezzo e dinamiche di appartenenza di gruppo.
Quasi come una setta: non erano poche le persone che ieri, in radio e in televisione, hanno tessuto lodi estatiche sul perchè e il per come la Apple abbia cambiato loro la vita. Non parliamo poi del discorso di Stanford, sharato in rete come un novello "I have a dream" anche dai più insospettabili.
Jobs è diventato in un pochi click il guru del "cerca di fare il lavoro che ti piace", del "lotta per ottenere quello che vuoi" e soprattutto del "ricordati che la vita è breve, non sprecarla", e forse è proprio per questo che ha avuto, soprattutto su chi ha bisogno di sentirsi dire questo genere di cose, e su chi è pronto per affacciarsi nel mondo del lavoro, questo enorme ascendente.
Faceva però un po' specie vedere i giovanissimi studenti scendere in piazza oggi, orgogliosamente "folli e affamati".
Come Jobs li ha voluti, dicono loro.
Come il fondatore di un'azienda che vende loro (costosi) prodotti tecnologici (da status symbol) li ha voluti, penso io.
L'ideologia è andata a farsi fottere nel nome del marketing.
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